Hotel e Spa Design, nuove idee per ospitalità e benessere

REWIND

Ph. Tim Roney

Take these dogs away from me!
Anche il post di oggi, come il precedente, parte con una domanda a bruciapelo: questa frase ricorda qualcosa a qualcuno?
E se vi dicessi che si tratta dell’incipit di una canzone?

Probabilmente non dice nulla ai più giovani, ma quelli che, come me, sono cresciuti negli anni ’80 ricorderanno benissimo la musica degli Eight Wonder (con questa frase inizia “I’m not scared”, 1988).
Soprattutto, a nessun maschietto può essere sfuggita la bellezza di Patsy Kensit!
Io ne ero proprio innamorato, e la mia stanza piena di poster, di cui uno addirittura a grandezza naturale…bellissima!
E poi riviste, fotografie, dischi…bé quelli pochi, a dire la verità: Fearless – il loro unico album di punta, sui tre pubblicati – uscito nel 1988 che conteneva tutti i singoli di successo della band.

Mi è capitato di ascoltare di nuovo gli Eight Wonder in radio poco tempo fa, proprio qualche giorno dopo aver ripreso in mano, per caso, le loro canzoni su YouTube: una coincidenza da cui non potevo non trarre uno spunto per questo nuovo post.

Patsy Kensit incarnava per me ragazzino una bellezza pura, più nel look dell’’87 (con i capelli corti) che in quello del primo disco “Stay with me”, in cui, forse, era troppo bambolina: un viso pulitissimo, uno sguardo radioso, sensuale e incantevole…nel senso che era sempre un piacere incantarsi a guardarla.

Patsy Kensit, 1985

Chi non ha avuto grandi miti nella propria giovinezza? Quali sono stati i vostri?
E chi non è andato a curiosare, decenni dopo, per vedere come sono diventati? Il tempo passa…
E per quanto ognuno possa vivere appieno ogni periodo della propria vita, l’incedere del tempo e lo sfiorire della propria giovinezza è triste per tutti: per chi ha ancora negli occhi la bellissima cantante degli anni ’80, il vedere la foto di Patsy Kensit oggi rimane comunque un piccolo shock: a 49 anni è sempre una bella donna, malgrado abbia dovuto superare gravi problemi di salute, ma non è più la ragazza sbarazzina di allora.
Di botto, si prende coscienza che anche per noi il tempo passa, anche se non ce ne accorgiamo in maniera brusca e, probabilmente, più guardando gli altri che guardando noi stessi.

Lo sapete che il tempo passa anche per gli immobili? Il tempo passa inesorabilmente anche per i nostri hotel!

Non riesco a decidermi se per gli edifici sia peggio o meglio che per noi uomini: da una parte, per noi dieci anni potrebbero non incidere così pesantemente sul nostro aspetto quanto, invece, si possono sentire sullo stile e sulla funzionalità di molti interni. Dall’altra, alcune strutture riescono a mantenersi “giovani” molto più di quanto sia dato a noi farlo.
In ogni caso, il tempo scorre implacabilmente anche per i nostri hotel, come evidenziavo già nel post “Il tempo che passa” che consiglio di rileggere (insieme a “Una camera da sogno” in cui ne troverete delle belle!): ci ritroviamo così, senza quasi accorgercene, ad avere un patrimonio alberghiero molto vecchio, oltre che obsoleto per le esigenze degli ospiti di oggi.

A chi vive l’hotel quotidianamente, i piccoli problemi possono addirittura sembrare inesistenti: il tessuto un po’ liso, una crepetta sul muro, la vetustà di alcuni soprammobili diventati di antiquariato recente, una pavimentazione diventata vintage ma in voga anni fa, sono solo esempi di qualche dettaglio su cui sembra di poter passare sopra. Sono invece segni del tempo che rischiano di passare inosservati se non guardandoli con gli occhi di chi li vede per la prima volta: l’ospite!

L’ospite che entra in un hotel è come una persona che ci incontra per la prima volta: se abbiamo 50 anni, non ci vedrà mai come giovani, e se questa persona ha 30 anni, non penserà mai di avere molte cose in comune né che anche noi, alla sua età, abbiamo avuto gli stessi interessi e vedevamo le cose allo stesso loro modo.
Così, l’ospite che entra in un hotel diventato vecchio, non percepirà mai i valori di una volta, ma giudicherà inadatto l’ambiente misurato con la sua voglia di vivere il proprio tempo, tecnologico, contemporaneo e affacciato sul mondo e sul futuro.

Com’è possibile che certi hotel ancora non si rendano conto della necessità di cambiare? Non voglio dare una risposta, mi piacerebbe sentire le vostre nei commenti; però, avanzo un pensierino sul fatto che, in Italia, siamo abituati a vivere nel passato e con questo, quindi, giustifichiamo qualsiasi difetto di vecchiaia, considerando un tesoro il segno del tempo: chiamiamo “vintage” questo “stile” derivato meccanicamente dall’età dell’hotel, non tenendo conto che la vecchiaia non si riscontra solo nell’aspetto, ma – soprattutto – nella funzionalità (o dis-funzionalità) che ormai paralizza il mercato di molte strutture alberghiere.

Patsy Kensit non ne ha assolutamente bisogno, ma molti ricorrono al lifting per migliorare il proprio aspetto, per tornare giovani o, almeno, per vedersi giovani allo specchio.
Ma attenzione: in questo i nostri alberghi possono fare molto di meglio!

Per un hotel, tornare giovane è possibile grazie al restyling della struttura!
Un rewind che può essere completo o parziale, realizzabile in un unico intervento o nel corso di più anni ma in ogni caso con un unico obiettivo: tornare al passo con i tempi e profumare di nuovo agli occhi (o meglio ai polmoni) degli degli ospiti.

Oltre che al servizio o alla location, gran parte del successo di un’attività è legata proprio alla qualità dell’immagine e alla funzionalità dell’hotel: perché non fare in modo che un hotel perda quella patina che lo rende ormai opaco agli occhi degli ospiti?
Perché non cancellare in un unico colpo tutte le rughe accumulate nel corso del tempo?
Perché vivere sull’onda del ricordo di precedenti fasti illudendosi di poter far fronte alle esigenze odierne solo attraverso il glorioso passato?

E soprattutto: come abbiamo fatto a non accorgerci che l’incedere inesorabile del tempo ha segnato in maniera così  profonda il nostro patrimonio alberghiero?


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