Incredibilmente, uno dei libri di design più belli che abbia mai letto non parlava di design: si tratta della biografia di Steve Jobs (scritta da Walter Isaacson), personaggio tanto discusso a livello personale quanto geniale a livello professionale.
Non è tanto quello che vi è scritto, quanto quello che emerge tra le righe di una lettura che fa trasparire l’enorme passione per la bellezza e la perfezione del dettaglio, anche quando è nascosto. Dal libro affiora un tale amore per la creatività che mi emoziona solo al pensiero, così come mi affascina risentire ogni volta il discorso tenuto da Steve Jobs nel 2005 ai laureandi della Stanford University.
“Nella vita bisogna credere nell’intuito, nei propri sogni e nel proprio cuore e avere fiducia che i puntini si potranno unire”.
Quante volte abbiamo unito i puntini nei giornaletti di enigmistica? Stavo per scrivere “da piccoli” ma è vero che anche continuiamo ad unire i puntini anche “da grandi”, così come continuiamo a cercare le differenze laddove ci si chiede di aguzzare la vista.
Al proposito, siamo bravi a trovare le differenze anche tra un ambiente “progettato” e un ambiente “improvvisato”? La risposta sembra scontata. Eppure, nella maggior parte dei casi, le scelte si orientano su un fai-da-te che spesso condiziona l’immagine generale di uno spazio, conferendogli una sensazione di banalità che ne compromette la qualità. E in hotel o in un centro benessere, la cosa si fa pericolosa perché se l’ospite non è colpito dall’immagine di un ambiente senza appeal, a risentirne è il business.
Perché scegliere il fai-da-te?
Al di là del valore delle idee e dell’importanza della creatività, che non manco di gridare sempre ai quattro venti e che condizionano la mia vita e la mia attività, oggi mi piacerebbe porre l’accento sulle competenze dell’architetto, figura professionale preposta a infondere allo spazio uno degli elementi più importanti: la coerenza dell’insieme, la capacità di riuscire a mettere insieme elementi diversi affinché tutto sia in relazione e ogni cosa contribuisca a creare un ambiente accogliente e organico, senza stonature.
A ben pensarci, gli elementi che entrano in gioco sono tantissimi, anche in un ambiente relativamente piccolo, come potrebbe essere una camera di hotel (per non citare locali comuni o un centro benessere): forme, proporzioni, colori, materiali, luci, tessuti, oggetti, non è facile che tutto sia armonico, tenuto conto, soprattutto, che tutto deve essere pensato e scelto in una visione mentale prima di passare alla realizzazione.
Generalmente sono piuttosto critico, ma oggi mi sento di spezzare una lancia a favore della mia categoria degli architetti che, per quanto contestabile per molti versi, purtroppo non è valorizzata in quello che dovrebbe essere il nostro lavoro peculiare: concepire spazi per la vita e l’attività delle persone, con la creazione della giusta atmosfera, calibrata su chi li vive e ne fruisce.
“Progettare l’atmosfera” non è uno scherzo e, soprattutto, non è una cosa che si può insegnare. L’atmosfera è la risultante di una serie di scelte che il professionista compie nella selezione e nell’organizzazione di tutti gli elementi in gioco in un progetto. Un buon risultato, al di là delle capacità personali, si raggiunge con anni di studio che permettono all’architetto di avere una preparazione per affrontare nel migliore dei modi un progetto nel suo insieme.
Come accennavo, spesso sono io il primo a criticare la mia categoria, quando mi imbatto in colleghi che invece di perseguire la qualità e di seguire la passione per la propria professione, si uniformano alla mediocrità italiana di chi cerca il massimo risultato con il minimo sforzo. Quando qualcuno è passato e ha fatto già i suoi danni, che fatica far capire al cliente come si lavora veramente e che è proprio il progetto lo strumento attraverso il quale materializzare gli spazi dei loro sogni!
Dalla superficialità di tanti colleghi dipendono le leggende metropolitane tra le quali quella che laddove interviene l’architetto si spenda il doppio (quando è, o dovrebbe essere, esattamente il contrario!). Spesso l’architetto diventa addirittura una spesa non necessaria, a maggior ragione quando la progettazione viene “venduta” addirittura gratis da fornitori senza un briciolo di professionalità, che hanno come obiettivo solo la vendita delle loro cose e non hanno certo a cuore la progettazione dei vostri ambienti; che siano quelli in cui vivete o il centro benessere che vi hanno riempito di attrezzature è sempre la stessa solfa.
Confondendo il buon gusto per professionalità, alla fine molti decidono di fare da soli, per paura di non delegare all’architetto, incappando in un errore comune: sviluppare un progetto non vuol dire incaricare un professionista affinché se la sbrighi da solo!
Io vi racconto una storia diversa, legata alla mia esperienza professionale nella quale prima del lavoro viene la passione: solo attraverso la profonda sinergia tra committente e architetto è possibile raggiungere quella coerenza dell’insieme indispensabile perché un ambiente risulti organico, piacevole e armonico, a maggior ragione quando si tratta di ambienti pensati per una terza persona, l’ospite, come quelli di un hotel o di un centro benessere.
Per l’architetto con la “A” maiuscola ogni progetto è un figlio e, come tutti i figli, ha due genitori senza i quali non può assolutamente nascere: il committente e il professionista, il cui lavoro integrato porta ad un risultato che, senza alcun dubbio, si riconosce al primo colpo, senza la necessità di avere una vista particolarmente aguzza.
APPROFONDIMENTI:
“Scusi, architetto, ha mai visto una SPA?”
“State attenti all’architetto! Cosa ne sa del mondo alberghiero?”